“Non ereditiamo la terra dai nostri antenati, la prendiamo in prestito dai nostri figli”.
Un’immagine, uno scatto che sembra eternare queste bellissime parole di Navajo: le mani di una madre che affidano un grappolo d’uva a quelle della figlia. Un dono prezioso, perché in quel grappolo, nei suoi chicchi piccoli e compatti, è custodito un nettare che profuma di passione e dedizione familiare, di tradizione alla cura delle viti, del vino, ma anche di una profonda forma di amore per il proprio territorio che si traduce in attenzione alla salvaguardia e protezione dell’ambiente. Vita che dona vita.
Quel grappolo è un’infiorescenza di Pinot Bianco maturato in acini divenuti oramai il simbolo e la voce di una grande e nobile missione: preservare e raccontare il Collio. Perché siamo di nuovo qui, in questo piccolo e caratteristico spicchio di Friuli dove la Rete del Pinot Bianco nel Collio, sette storiche famiglie del mondo del vino, sta camminando mano nella mano per narrare la preziosa unicità della propria terra natia. E quelle sono le mani di Ornella e Serena Venica.
È con questa immagine, rubata durante un giorno soleggiato della vendemmia 2021, che mi piace iniziare il secondo dei sette viaggi nei cuori e nelle storie delle famiglie della Rete, alla scoperta di Venica&Venica.
Sulla via delle vigne: fare bene per fare del bene.
Era il 2019 quando il primo Bilancio di Sostenibilità di Venica&Venica da Dolegna del Collio spiccava il volo sulle ali del “fare bene per fare del bene”. Buone pratiche implementate negli anni, ma soprattutto amore per il proprio territorio dal 1930, quando il capostipite Daniele iniziò a camminare, e a segnare la strada futura della famiglia Venica, sulla via delle vigne.
L’antico rispetto dei cicli della natura e la predilezione, in vigneto come in cantina, di prodotti naturali, ha fatto di Venica una famiglia così fortemente legata al Collio, generazione dopo generazione, da farsi tutrice della cura dell’ambiente, delle persone e della comunità.
Quella di Venica&Venica è la storia di un viaggio nel tempo, da nonno Daniele alla quarta generazione che oggi sta ricevendo il testimone, e nello spazio, quello di un territorio con le sembianze di una mezzaluna che unisce il Friuli Venezia Giulia alla Slovenia.
È un viaggio lungo il quale Daniele, e poi Adelchi, e poi ancora Gianni e Giorgio, e oggi i loro figli, hanno scelto di tutelare l’unicità dell’ambiente, di quel terreno fatto di marne e arenarie, dei paesaggi e della cultura che in questi territori è cresciuta. La cultura del vino, il rispetto di vitigni che si innalzano su queste colline donando alle loro uve caratteristiche ogni volta diverse, perché il terroir del Collio è fatto di tante specificità, tutte racchiuse nel saldo abbraccio sapido e minerale.
Il bilancio di sostenibilità di Venica&Venica è una dichiarazione di responsabilità, a dare voce a un tragitto segnato dalla voglia di mantenere salda l’identità. A raccontare una famiglia che ha percorso e sta percorrendo le vie dell’evoluzione agricola in un territorio così caratteristico nella sua biodiversità da divenire un dipinto naturale unico, con un approccio sempre orientato al rispetto e alla valorizzazione di questa unicità.
E se la difesa del paesaggio e della biodiversità sono i valori fondamentali, Venica&Venica insegna che l’identità per essere mantenuta va anche raccontata. Perché solo attraverso il racconto si riesce a far comprendere come ogni singola e piccola cantina sia parte di un patrimonio collettivo. Ed è sulla consapevolezza di questo patrimonio che si fonda uno sviluppo territoriale.
Così, racconti e identità diventano i protagonisti dei luoghi dell’ospitalità di questa famiglia, dalla cantina al resort.
Le vite dei Venica.
La visita alla cantina Venica&Venica non è solo un percorso alla scoperta delle tecniche e dei processi di vinificazione e degustazione guidata. È un cammino nel sapere dei padri, è la storia della famiglia che si svela tra profumi antichi e sentori che conducono al futuro, culminando in calici che raccontano il cuore pulsante di questa famiglia.
Dietro e dentro un buon vino ci sono sacrifici, passione, amore, legame al territorio. Tutto questo Venica&Venica narra con orgoglio di appartenenza attraverso porte che si aprono una ad una, in cantina, a rivelare ciascuna una pagina essenziale del viaggio di famiglia.
La porta di Daniele è una classica porta di ingresso delle case rurali di inizio Novecento e conduce in una stanza i cui muri sono impregnati dei valori e della saggezza della civiltà contadina di ieri. Daniele è il buon padre di famiglia, che ha donato ai discendenti il legame con la terra e con il Collio. E dalla sua sapienza e vocazione in poi l’albero genealogico è stato arricchito e reso unico dal marchio indelebile di “famiglia del vino”.
Già rapiti dal magico aroma del passato, ecco rivelarsi la seconda porta, quella di Adelchi. Una porta speciale che apre lo sguardo a una vecchia dispensa. No, non un magazzino, bensì quello che fu lo scrigno della casa in tempo di guerra. Cibo come salvezza, per il sostentamento ma, soprattutto, per non dover abbandonare la propria abitazione, e il proprio territorio. Una porta la cui targa invisibile racconta tutto l’amore possibile: ancora una volta quello per la famiglia e per il Collio.
Resta alle spalle la porta di Adelchi e il percorso in cantina conduce poco a poco all’oggi, e quasi pare che la luce si faccia via via più intensa e chiara. Come un albero che affonda le radici nel buio della terra, indispensabile nutrimento, e si innalza poi verso il cielo, dove a sorridere sono le verdi foglioline primaverili. E mentre Daniele e Adelchi continuano a donare sostentamento, a ricordare dove sono le radici della famiglia Venica, eccoci arrivare a una porta il cui design dell’artista viennese Klemens Torggler gioca a incuriosire coi suoi incastri.
È la porta di Gianni e Giorgio, i due fratelli che oggi continuano ad alimentare l’incessante passione e il profondo amore per il proprio lavoro, per le vigne e il vino. Una porta che parla di due uomini legati dalla stessa passione, con conoscenze e ruoli diversi e distinti, ma anche di come qui, nel Collio, la cultura del territorio si intreccia con quella mitteleuropea. Legàmi.
Ed è proprio il legame la voce che conduce all’ultima porta: quella del futuro, quella dove a sorridere sono i figli di Gianni e Giorgio che, sulle orme dei padri che li hanno preceduti, si stanno affacciando al mestiere di famiglia, al mondo del vino.
Sono loro le verdi foglie di primavera, salde ai rami e pronte a continuare il racconto di questo percorso generazionale che tra botti ed etichette, dà voce in cantina alle vite dei Venica.
Il Wine Resort.
Chi ama profondamente il proprio territorio ha un desiderio: donare agli altri le sue bellezze, farlo vivere. Il sogno della famiglia Venica è da sempre quello di accogliere chi vuole scoprire il Collio e la cantina non è mai stata solamente un luogo di produzione, ma anche uno spazio dedicato all’ospitalità.
Così l’antica casa colonica si è negli anni trasformata, dando vita a un Wine Resort circondato dagli ettari vitati di proprietà della famiglia e che si affaccia su un bosco naturale.
Camere ricavate in una casa di campagna di fine Ottocento, dove l’atmosfera profuma di accoglienza delle antiche locande ma comodità e tecnologia rendono gli ambienti moderni. E poi, soprattutto, la vista su un paesaggio che sembra uscire da un libro del passato rimasto incontaminato negli anni. Il verde, le suggestioni del vento che carezza le linee delicate delle colline.
“La cosa più bella e vera che qui possiamo donare – sorride Ornella Venica, moglie di Gianni – è il territorio, questo paesaggio unico”.
È lei, Ornella, la vera e più entusiasta cantastorie della famiglia.
Mentre Giorgio accudisce la cantina, donando alle uve i giusti ingredienti per trasformarle in vini pregiati, e mentre Gianni (direttore d’orchestra a coordinare i ruoli di tutti i componenti della famiglia per una perfetta sinfonia d’intenti e risultati) accarezza col sorriso le viti, per far crescere meglio i suoi grappoli, Ornella è l’anima dell’accoglienza e della comunicazione. Una vera musa del racconto, con la voglia e l’impegno di portare al mondo l’emozione di generazioni di vite trascorse tra le viti, di donare agli altri la bellezza di cui il Collio sa riempire i cuori.
Venica e la Rete del Pinot Bianco nel Collio.
Una missione e vocazione, quella di far conoscere al mondo un territorio peculiare come quello del Collio, che non poteva non fondersi e coniugarsi col progetto di quella rete voluta da Marco Felluga: la Rete del Pinot Bianco nel Collio.
Ed è proprio ad uno dei racconti della rete che si intreccia questo viaggio alla scoperta della famiglia Venica. Perché mentre la vendemmia del Pinot Bianco si trasformava in pellicola messaggera dei valori e della missione delle sette famiglie, Ornella donava a Serena un grappolo d’uva.
Un grappolo di Pinot Bianco che spalanca quella porta del futuro in cantina e che fa sì che Serena si affacci ad accoglierci, custode della storia di famiglia, accompagnandoci per mano verso un passaggio generazionale che cammina, ancora una volta, sulla via delle vigne e dell’identità.
La quarta generazione raccontata da Serena Venica.
Se Venica&Venica sono i due fratelli Gianni e Giorgio, la quarta generazione vede e vedrà protagonisti i loro cinque figli. Marta sta già seguendo le orme del maestro di cantina e agronomo Giorgio; Giampaolo, figlio di Gianni, è responsabile ormai da anni della comunicazione e dello sviluppo USA e resto del mondo; e poi c’è Serena, al controllo gestione e supporto eventi Italia e Svizzera.
Serena quel grappolo di Pinot Bianco non è riuscita a lanciarlo in una cesta di raccolta, come tutti le dicevano di fare. Lo ha deposto con delicatezza, sotto lo sguardo orgoglioso di papà e mamma, in un secchio rosso accanto ad altri grappoli.
“Lanciare l’uva mi pareva fosse come buttare via qualcosa – racconta -. Ho voluto adagiare il grappolo, per dargli la giusta attenzione, per trasmettere a quell’uva l’amore che merita. Il Pinot Bianco è un vitigno che mamma mi ha sempre raccontato con tanta passione e mi è entrato dentro. Ma in verità è così per tutti i vitigni e per ogni cosa faccia parte del mestiere di viticoltori. Sono la quarta generazione e mi sento responsabile: l’uva, l’essere vignaioli, non è un gioco, è la nostra famiglia, è la nostra storia”.
Valori forti quelli che questo grappolo posato con delicatezza esprime, mentre in un sorriso sentito e profondo Serena scioglie parole di amorevole fierezza: “Accanto al senso di responsabilità c’è anche un forte orgoglio. Ogni giorno sento di essere nel posto giusto, a fare ciò che amo fare. Credo di essere molto fortunata e amo questo territorio!”.
Un Collio che Serena racconta come inaspettato (“chi arriva qui per la prima volta rimane sbalordito!”), poliedrico (“ognuno qui trova la sua identità legata all’angolo di Collio in cui vive e così nessun produttore è uguale all’altro, perché il Collio ha tante anime, ogni suo angolo ha caratteristiche uniche e peculiari”) e incontaminato (“è un territorio quasi vergine, qui il turismo è molto delicato e rispettoso e ciò che le persone si portano via è il senso di identità di chi qua vi abita da sempre”).
Ed è il racconto che torna protagonista, perché
“La mamma racconta tante storie e mi ha insegnato che nel nostro lavoro è fondamentale. Sono le storie della nostra e delle altre famiglie che vivono qui da generazioni. Sono le storie che permettono alle persone di conoscere e di apprezzate il nostro territorio, perché le famiglie di vignaioli tramandano attraverso i loro vini… Ho sempre sentito raccontare la storia della nostra famiglia e oggi per me è naturale farlo a mia volta, anche e soprattutto quando faccio degustare un nostro vino”.
Ma ecco uscire, accanto a quella narrativa della mamma, anche l’anima creativa di papà Gianni.
In fondo a volte i figli sono un perfetto connubio dei caratteri dei genitori e sanno accogliere il meglio. Così, quando chiediamo a Serena di accompagnarci a sorseggiare un calice di Pinot Bianco, lei lo descrive come un donna dalle gambe lunghissime, formosa ma raffinata, delicata; un vino dall’espressione femminile che avrebbe come degno e perfetto sposo un bicchiere di vetro sottile e dallo stelo allungato… E ad avvolgere vino e calice infinite e profumate sfumature di verde, le tante tonalità del territorio in cui il Pinot Bianco matura, cresce e viene trasformato.
Insomma, eleganza e personalità in un vino che dà a Serena l’occasione per dare voce, sempre e di nuovo, al nocciolo duro della storia della famiglia Venica: l’amore per il Collio. Un amore che si è fatto filosofia di vita e sta permettendo, ancora una volta, un armonioso passaggio generazionale.